dsm-firmenich PostNL, Romain Bardet verso il finale di carriera: “Ho l’impressione di aver chiuso il cerchio e, soprattutto, di aver esplorato tutte le mie capacità”
Romain Bardet si prepara ad affrontare gli ultimi mesi della sua carriera su strada. Lo scalatore del Team dsm-firmenich PostNL correrà infatti la sua ultima gara il prossimo giugno, al Giro del Delfinato, e poi si dedicherà al gravel almeno fino a fine 2025, quando scadrà il contratto con la sua attuale squadra. Capace di vincere quattro tappe al Tour de France e di salire sul podio finale in due occasioni, ai quali aggiungere, tra i risultati particolarmente rilevanti, un secondo posto ai Mondiali 2018 e uno all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi, il 34enne transalpino ha parlato della sua decisione di appendere la bici al chiodo e di alcuni momenti particolari della sua carriera in un’intervista rilasciata a Eurosport.
“Ho sempre avuto l’idea di dirmi ‘Non fare un anno di troppo’ – le parole di Bardet – Si possono cambiare molte cose ogni giorno, ma dopo 13 anni di WorldTour ci si ritrova in una certa routine. Ho l’impressione di aver chiuso il cerchio e, soprattutto, di aver esplorato tutte le mie capacità“.
Il corridore francese ha già affrontato il suo ultimo Tour de France, che l’ha visto conquistare la prima tappa e indossare per la prima (e ultima) volta la Maglia Gialla: “È stato uno scenario un po’ da sogno, ma non una vera sorpresa. Il risultato in sé è stato eccezionale, ma per quanto riguarda l’approccio, il piano che avevo per quel primo fine settimana… Con le armi a mia disposizione, avevo enormi ambizioni per quel fine settimana di apertura, perché sapevo che, probabilmente, era la tappa ideale per me al Tour de France. Poi, il fatto di poter mettere in pratica il piano e avere le condizioni giuste per realizzarlo quel giorno sono stati elementi che non erano sotto il mio controllo. È stata una felice coincidenza”.
“C’era 1’30” tra il gruppo e la fuga, mi sentivo in grado di colmare il gap, ho visto tutti al limite, grandi gambe per me e così è stato – ha proseguito il 34enne raccontando come sono andate le cose quel giorno – Anche questa è preparazione mentale, volevo avere un grande impatto in quel primo fine settimana, era sicuramente la mia migliore occasione. Ho chiesto alla radio due secondi prima se potevo provare, mi hanno dato il via libera e sono partito“.
In fuga c’era il compagno di squadra Frank Van Den Broek, che si è rivelato fondamentale per ottenere la vittoria di giornata: “Quando l’ho raggiunto mi ha detto ‘Sono morto, ti faccio il ritmo per 3 chilometri, mi stacco e tu finisci da solo’. Ho risposto ‘No, assolutamente no!’. Mi sono messo davanti sulle salite a un ritmo che lui poteva tenere. Volevo davvero tenerlo lì, volevo che rimanessimo in due. [Il gruppo] si è riavvicinato, ma quando sono partito pensavo davvero di vincere. È incredibile quello che ha fatto, mi ha trascinato nel finale“.
La decisione di chiudere la carriera non è dovuta solo ai tanti sacrifici fatti negli anni trascorsi come corridore: “O forse sì, questa vita da un albergo all’altro, da un aeroporto all’altro… Sono soprattutto i miei limiti fisici che, credo, sono stati raggiunti. Posso ancora ottenere dei risultati, ma non vincerò molte gare all’anno. C’era il desiderio di anticipare un po’ il declino che è inevitabile e anche di essere in contatto con i miei valori, la mia etica e la mia concezione della professione, che non è più totalmente in sintonia con quella del mio mondo. Prima che questa dissonanza diventi troppo grande, penso che dobbiamo saper dire basta“.
Nonostante qualche piazzamento e un paio di vittorie di tappa, negli ultimi anni Bardet non è più riuscito a lottare per la vittoria di un Grande Giro: “Ho corso per le classifiche generali per circa dieci anni e probabilmente ero arrivato al limite di ciò che era mentalmente e fisicamente sopportabile. Nella mia carriera, ho lottato per la cosa più nobile, cioè la classifica generale nelle più grandi corse del mondo. Ma, per arrivarci, ho dovuto mettere a tacere quel lato un po’ più primordiale del correre d’istinto. Ho rinnegato la mia natura. Non me ne pento, mi ha permesso di conquistare due podi al Tour, ma avevo un livello fisico che mi avrebbe permesso di vincere più tappe e più grandi corse seguendo il mio istinto”.
Oltre agli anni che passano, il classe 1990 ha dovuto fare i conti anche con nuovi avversari che hanno spostato l’asticella ancora più in alto: “La concorrenza nei Grandi Giri è cambiata e con l’età era necessario concentrarsi nuovamente su obiettivi raggiungibili […] Se dovessi rifare tutto da capo, dal 2018 in poi ci sono stati alcuni anni in cui avrei dovuto ricominciare con altri progetti nei Grandi Giri, non sempre per la classifica generale, ma per costruirmi una lista di successi altrove”.
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